Storie di disabilità tra sfide ed opportunità: il ruolo delle Associazioni

“Ogni atto e ogni pensiero è l’eco di altri che nel passato lo precedettero
o il fedele presagio di altri che in futuro lo ripeteranno fino alla vertigine”.
Jorge Luis Borges

Storie di disabilità

Applicando le lenti che il filosofo argentino invita ad indossare a quel mondo di significati circoscritto nel termine “disabilità” e volgendo lo sguardo verso il passato, scopriamo che “la disabilità” esiste da quando esistono uomini e donne nel nostro pianeta. Tuttavia, riprendendo le parole di uno studioso, storico contemporaneo che ha approfondito la tematica, “la storia della disabilità non è [stata e non è] sempre la stessa storia” (Schianchi, M. 2012).
L’incoraggiamento di selezionare la specie umana e di “separare esseri umani sani da quelli inutili” – citando il filosofo e politico Seneca – è la rappresentazione del “ragionevole modo di pensare” degli antichi greci e dei romani. In epoca greco romana, infatti, la persona con disabilità era considerata inutile alla collettività ed un presagio degli dei, da cui anche il termine “mostro”. Termine, quest’ultimo, che ha una doppia valenza: “mettere in mostra” ma anche “ammonire”. In questo senso le divinità “ammonivano” una società con esseri “mostruosi” per far scontare delle pene. Inoltre, l’ammonimento precedeva l’espulsione della persona con disabilità dalla polis in quanto ritenuta poco utile alla comunità.

Diverso il pensiero, ossia la storia della disabilità, in epoca nazista, da intendere come periodo storico che massimamente ha ostacolato l’espressione di forme di vita altre da quelle del culto della razza che il regime enfatizzava. L’Aktion T4 è il nome convenzionale con cui si designa il programma nazista di eutanasia che, sotto responsabilità medica, prevedeva in Germania la soppressione di persone affette da malattie inguaribili o handicap, considerate “vite indegne di essere vissute” e “bocche da sfamare”. L’Olocausto (dal greco ὁλόκαυστος – holòkaustos, “bruciato interamente”) identificato più correttamente con il termine ebraico Shoah che sta per “catastrofe, distruzione”, implicò lo sterminio di oltre 250.000 persone con disabilità.

Due tra le tante epoche storiche che avremo potuto scegliere di citare e che tengono conto delle profonde radici che caratterizzano la storia della disabilità. Pur trattandosi di storie dalle radici diverse, tra le peculiarità comuni emerge con forza il pensiero dicotomico che ha funto e funge da sfondo alla conoscenza di questo fenomeno: una conoscenza che contribuisce tutt’oggi a definire e marcare una netta distinzione tra “chi è normale” e chi “non è normale”. L’uso del termine “disabilità”, infatti, porta con sé la messa a confronto con quelle che definiamo “abilità” (anch’esse destinate a mutare) e l’idea che vi siano caratteristiche, aspetti, forme di espressione che non appartengono al mondo delle “persone con abilità”.

Verso nuove concezioni di disabilità

Sicuramente oggi ci troviamo di fronte a scenari diversi, tuttavia questa premessa può servirci per comprendere come “la disabilità” sia espressione dell’interazione tra dimensioni afferenti alla sfera culturale, sociale, politica e più in generare storica della comunità. A sostegno di ciò, l’approvazione nel 2006 della convenzione sui diritti delle persone con disabilità da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che tiene conto di una nuova classificazione della disabilità, quella messa a punto dall’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF).
La disabilità, infatti, non è più concepita solamente come una riduzione delle capacità funzionali determinata da una malattia o menomazione bensì come la risultante di una interazione tra condizioni di salute e fattori contestuali (personali e ambientali). Cruciale è il passaggio alla definizione di salute formulata dall’OMS come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale [che] non consiste soltanto nell’assenza di malattia o infermità” e che ha consentito di includere, anziché identificare, nel concetto di salute settori quali la sanità, l’edilizia, l’istruzione e componenti quali l’inclusione e la partecipazione. Dunque, oggi, le convenzioni internazionali definiscono la “disabilità” come “un concetto in evoluzione che deriva dall’interazione tra persone con disabilità e barriere ambientali che ostacolano la loro piena ed effettiva partecipazione alla società in condizioni di eguaglianza e parità con gli altri”.

Questa definizione segna uno scarto da una prospettiva personale a un approccio interattivo che considera familiari, insegnanti, allenatori, volontari ecc protagonisti e coinvolti nel processo di promozione di una comunità inclusiva dove la persona con disabilità non sia configurata come malato e portatore di bisogni specifici bensì come ruolo che può esso stesso prendere parte al processo di promozione di una comunità orientata all’inclusione.

Quali criticità?

Nonostante questi passi in avanti, mettendo a confronto il contesto italiano, territorio che si dota di riferimenti legislativi avanzati anche grazie ad una tradizione di protesta e attivismo sociale, con gli altri stati dell’Unione Europea, possiamo osservare come, la spesa per la protezione sociale riferita alla disabilità (che include le pensioni di invalidità civile e altri interventi statali in denaro), sia nettamente inferiore (€426 per abitante contro i 566 della UE). La differenza è ancora più evidente rispetto alla Francia (676) o alla Germania (898). Il divario più marcato riguarda la quota non monetaria, riferita a servizi per le persone con disabilità, di cui i servizi sociali dei Comuni rappresentano una componente importante. Considerando questi dati e quelli offerti dall’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, è possibile continuare a sostenere che in Italia l’applicazione del quadro legislativo viene ostacolata dalla disponibilità dei fondi necessari per costruire ed attivare progetti volti a promuovere l’interazione tra le persone con disabilità (numero in costante aumento) e il contesto di appartenenza (richiamando la definizione citata poc’anzi).

Uno dei punti nodali che emerge è la limitazione delle occasioni di interazione e di inclusione che porta con sé il rischio di una bassa partecipazione delle persone con disabilità nella società e comunità di appartenenza. Per fare un esempio, da un’analisi condotta prima dell’emergenza sanitaria è emerso che solo il 9,3% delle persone con disabilità va frequentemente al cinema, a teatro, a un concerto, a visitare un museo contro il 30,8% della popolazione totale. Tra gli elementi che mantengono bassa questa percentuale vi è la scarsa accessibilità̀: solo il 37,5% dei musei italiani è attrezzato per ricevere le persone con limitazioni gravi. Per citare un altro esempio, all’interno della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% delle persone con disabilità (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) contro il 57,8% della popolazione generale.

Nonostante ciò, auspichiamo e confidiamo nelle parole del Ministro per le Disabilità, Erika Stefani, che lo scorso 16 marzo 2021 ha reso note le linee programmatiche del suo Ministero. Il ministro ha affermato che l’azione di Governo sarà orientata a “promuovere politiche inclusive e finalizzate a favorire la piena partecipazione delle persone con disabilità alla sfera sociale, economica, culturale e politica del Paese”. In tal senso, anche al fine di applicare quanto previsto dalla Convenzione ONU, le parti politiche si rendono disponibili ad ascoltare e a confrontarsi con le associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. La Convenzione, infatti, all’articolo 4 prevede che gli Stati Parti debbano operare in stretta consultazione e coinvolgere attivamente le persone con disabilità attraverso le loro organizzazioni rappresentative.

Il ruolo delle Associazione per le persone con disabilità

È proprio il sistema dei servizi che, oltre a rappresentare lo strumento cardine attraverso cui perseguire gli obiettivi in programma, si configura come una rete di responsabilità condivise (istituzioni, terzo settore, reti informali, famiglie, ecc.) che persegue un obiettivo di garantire pari opportunità e promuovere la qualità della vita delle persone con disabilità. Come afferma il Ministro Stefani, sono proprio le Associazioni per le persone con disabilità a rivestire un ruolo rilevante e fondamentale.

Dai dati Istat (presentato a dicembre 2017) le associazioni di volontariato in Italia sono 350 492 e rappresentano l’85,3% delle istituzioni non profit; nello specifico le associazioni che si occupano di attività sociale sono una minoranza (il 9,2%). Il Veneto con la Lombardia rappresentano le regioni con la presenza più consistente di istituzioni di volontariato. L’esperienza e la letteratura nazionali e internazionali ci dicono che le associazioni di volontariato si sono rese protagoniste attive nella rete di promozione, sviluppo e sostegno alle persone con disabilità producendo sul versante politico pressioni culturali, sociali e politiche tanto forti da orientare le consapevolezze individuali e istituzionali sui valori, le politiche e i comportamenti che devono connotare una società eticamente rispettosa e responsabile dei suoi cittadini (Mura, 2009).

La ricostruzione storica di questo fenomeno sociale evidenzia come la sua nascita, collocabile all’incirca al primo ventennio del Novecento, sia stata caratterizzata da una “cultura di categoria”: persone con disabilità e i loro familiari, infatti, si sono presi carico della loro condizione creando dei gruppi di auto/mutuo aiuto impegnati a rispondere ai bisogni quotidiani, in particolare educativi e scolastici, dei congiunti (Pavone, 2014). Tutto ciò in un contesto socioculturale nel quale avere un deficit significava essere parte di un’”umanità indegna” tollerata solo dai sentimenti pietistici e caritatevoli del filantropismo (Mura, 2017). Le associazioni hanno quindi iniziato a realizzare le prime iniziative per garantire ai loro iscritti la possibilità di studiare, apprendere un lavoro, di formarsi una famiglia e di partecipare alla vita collettiva: un lavoro focalizzato non più solo sulla cura medica, sul pietismo o sull’amore familiare ma sulla piena realizzazione delle potenzialità della persona all’interno della comunità in cui vive. A partire dagli anni ’70 le associazioni si diffondono capillarmente all’interno del paese sviluppandosi con caratteristiche d’intervento differenti a seconda del proprio target d’utenza e considerando la possibilità di autodeterminarsi della persona con disabilità. La loro azione viene supportata dai volontari e da un personale interno qualificato che svolge un’intensa attività di promozione e valorizzazione della persona (Mura, 2017). Nel corso del tempo l’associazionismo riveste però anche un ruolo più incisivo e ampio contribuendo alla gestione diretta di servizi o all’attivazione degli stessi, alla promozione e difesa dei principi di inclusione sociale confrontandosi con i principali organismi istituzionali e politici sia pubblici che privati (Pavone, 2014). È in questo contesto storico che comincia a maturare l’idea che le associazioni di volontariato non siano da considerare meri destinatari dei servizi ma interlocutori attivi nei processi di programmazione e nella costruzione del sistema integrato di interventi educativi e sociosanitari territoriali (Mura, 2007).

Ne sono testimonianza una serie di riforme di fondamentale importanza: ad esempio la Legge n.104/92 (Legge quadro per l’assistenza e l’integrazione sociale delle persone handicappate), la Legge 68/99 riguardante l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità, la Legge n.328/2000 che impegna i cittadini (famiglie, associazioni) e le istituzioni alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Si tratta di mutamenti ancora in atto che evidenziano la portata culturale dell’azione associativa che ha allargato il proprio orizzonte d’intervento verso tutti gli ambiti di sviluppo e le età della persona con disabilità (Mura, 2017). Non è quindi azzardato affermare che una parte significativa della storia culturale, sociale delle politiche educative, d’integrazione e d’inclusione delle persone con disabilità del nostro Paese sia da attribuire alle associazioni. Non è facile però, in un sistema sociopolitico ed economico in rapida trasformazione come quello attuale immaginare delle chiare prospettive future delle associazioni di volontariato, ma in una situazione così desolante e pericolosa per il riconoscimento dei diritti, il ruolo dell’associazionismo e il suo sviluppo di questi ultimi anni deve rappresentare uno dei pochi indicatori positivi che fanno guardare al futuro con speranza. Le stesse associazioni ricoprono ancor oggi in tutti gli ambiti d’intervento un ruolo decisivo per la difesa di quei diritti fondamentali che ancora oggi continuano a incontrare barriere di realizzazione e violazioni in ogni parte del mondo, fornendo uno strumento essenziale per dare voce ai cittadini, mettendo loro nelle condizioni di partecipare attivamente su questioni che riguardano la loro vita o quella dei propri familiari.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il Dott. Matteo Menorello, educatore presso la Cooperativa Giovani e Amici e Presidente dell’Associazione GiraTempo; Associazione che si occupa di realizzare progettualità educative per la gestione del tempo libero e di creare occasioni di inclusione sociale per le persone con disabilità residenti nel territorio della Bassa Padovana.

Bibliografia:

  • Iudici, A., Favaretto, G., & Turchi, G. P. (2019). Community perspective: How volunteers, professionals, families and the general population construct disability: Social, clinical and health implications. Disability and health journal, 12(2), 171-179.
  • Iudici, A., de Aloe, S., Fornaro, G., Priori, M., & Strada, A. (2014). Countering the “career of disability”: from clinical institutionalization to the creation of opportunities for biographical change. Procedia-Social and Behavioral Sciences, 116, 3271-3275.
  • Mura, A. (2017) Il contributo delle associazioni delle persone disabili e dei loro familiari allo sviluppo dei processi di integrazione. Vol. 16, n.4, pp. 427-434.
  • Mura A. (2004), Associazionismo familiare, handicap e didattica. Una ricerca esplorativa, Milano, Franco Angeli.
  • Mura A. (2009), Famiglie e associazionismo: il contributo al processo di integrazione nell’ultimo mezzo secolo. In M. Pavone (a cura di), Famiglia e progetto di vita, Trento, Erickson, pp. 313-328.
  • Pavone, M. (2014). L’inclusione educativa. Indicazioni pedagogiche per la disabilità. Mondadori Education S.p.A. Milano.
  • Schianchi, M. (2012). Storia Della disabilità: DAL castigo degli dei Alla crisi del welfare.
  • United Nation. The Convention on the Rights of Persons with Disabilities; 2006. New York and Geneva: Author. Retrieved from http://www.un.org/disabilities/ documents/convention/convention_accessible_pdf
  • World Health Organization. (1978). Primary health care: report of the International Conference on primary health care, Alma-Ata, USSR, 6-12 September 1978. World Health Organization.
  • https://www.istat.it/it/archivio/234269; https://www.istat.it/it/archivio/disabili; http://www.osservatoriodisabilita.gov.it/it/

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Elisa Tiberto

Psicologa, appassionata di storie e movimento.

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