Mercoledì 11 maggio si è tenuta una diretta sul mio profilo Instagram intitolata “Vulvodinia: la storia di un dolore invisibile”. Grazie alla testimonianza di Arianna, una giovane donna che ha ricevuto la diagnosi di vulvodinia nel 2018, è stato possibile offrire e diffondere informazioni importanti su questa condizione molto spesso sottovalutata, che colpisce 1 donna su 7, il 16% della popolazione italiana. In questo articolo di carattere informativo riprenderò alcune domande poste nel corso della serata.
Vulvodinia: di cosa si tratta?
La vulvodinia è una patologia che colpisce l’organo genitale femminile. E’ caratterizzata da labbra vaginali gonfie, irritazione, dolore durante i rapporti e successivo bruciore, in assenza di rilevanti segni obiettivi durante la visita ginecologica (anche per questo viene definita “sindrome invisibile”).
Può colpire donne di tutte le età, dall’adolescenza alla menopausa e, talvolta, può divenire un disturbo permanente con cui occorre faticosamente imparare a convivere.
Vulvodinia: diverse forme e manifestazioni
La vulvodinia può essere classificata in base ai sintomi, alle modalità in cui si manifesta e alla sua localizzazione.
Possiamo distinguere tra:
- Vulvodinia provocata: i sintomi sono avvertiti durante la penetrazione vaginale, lo sfregamento, oppure al solo contatto
- Vulvodinia spontanea: il dolore è avvertito in modo costante, anche in assenza di fattori scatenanti
Un’ulteriore distinzione, secondo l’area in cui si localizza, è quella tra:
- Vulvodinia generalizzata: il disturbo interessa l’area vulvare, il perineo e la zona perianale
- Vestibulodinia o vestibolite vulvare: il dolore si concentra sul vestibolo vaginale (la parte compresa tra l’introito della vagina e le piccole labbra)
- Clitoridodinia: la sensazione di dolore interessa il clitoride
- Vulvodinia disestetica o essenziale, la forma più comune dopo la menopausa, che interessa la zona tra il retto e la zona uretrale, oltre che vulvare
La diagnosi, dopo un lungo percorso
La diagnosi di vulvodinia è eseguita generalmente attraverso lo swab test.
Questo esame consiste nell’applicare una leggera pressione con un cotton fioc su alcuni punti specifici della zona vestibolare: in caso di vulvodinia, la paziente avverte una sensazione di dolore non commisurata alla pressione.
Altri strumenti che possono aiutare nella diagnosi sono:
- L’elettromiografia, per testare la reattività del muscolo elevatore
- Il vulvagesiometro, per quantificare il dolore vulvare.
In generale, anche se gli esami non evidenziano alcuna alterazione, è possibile diagnosticare una vulvodinia se il disturbo è presente da almeno 3 mesi.
Anche se si tratta di un disturbo diffuso, molto spesso la vulvodinia può rimanere non diagnosticata e non curata per anni. La storia di Arianna funge da esempio e testimonianza. Arianna infatti soffre di cistite post coitale da quando ha 18 anni, derivata da un ipertono del pavimento pelvico mai individuato e curato (nonostante controlli e visite ginecologiche regolari). Con “ipertono del pavimento pelvico” si intende una contrattura che va a restringere le pareti della vulva e dei muscoli e che, nel caso di Arianna, con il passare del tempo, ha scatenato la neuropatia che è il sintomo principale della vulvodinia.
La diagnosi, per Arianna, arriva dopo anni di ricerca. Le cose che sentiva dire erano “sei più delicata delle altre, tranquilla che la cistite viene a tutte nella vita, probabilmente devi essere solo più rilassata”.
Riprendendo le parole di Arianna, mentre raccontava il giorno in cui ha ricevuto la diagnosi a seguito di una visita urologica:
“avere consapevolezza di quello che ti affligge è quasi catartico perchè finalmente sai con cosa ti confronti, ti guardi allo specchio con il male che hai sentito fino a quel momento e che probabilmente continuerai a sentire però si riattiva una speranza di essere guidata nel percorso di cura”.
Il ruolo della psicologia
Si è spesso parlato della vulvodinia come di un disturbo psicogeno e quindi di competenza dello psicologo. Non è così. La vulvodinia è una patologia con solide basi biologiche che ricadono nell’ambito della competenza medica, e come tale può essere trattata. Questo è stato ben sottolineato nel corso della diretta: “la figura di uno/a psicologo/a potrebbe integrarsi nel percorso di terapia generale però è importante che non sia la base di partenza: non è il professionista a cui rivolgersi per la diagnosi. Se ci si trova di fronte ad un medico, una medica che non riconosce il problema e quindi sposta il focus a un problema mentale, allo stress, lì bisogna dire: non è quello di cui ti occupi, non mi puoi aiutare perchè quello che sento io è un problema fisico”.
Dunque, gli psicologi e le psicologhe possono inserirsi nel processo diagnostico e nel percorso di cura per offrire supporto alla persona nel gestire le implicazioni che si manifestano sul piano biografico, socio interattivo, emotivo, personale.
Come si può curare?
Non esiste una cura unica che vada bene per tutte le persone perché ogni caso è complesso ed unico. È necessario che le strategie terapeutiche comprendano più approcci e che si adattino di volta in volta alle necessità delle pazienti.
Le terapie attualmente più utilizzate prevedono:
- Anestetici locali in crema o gel e farmaci da applicare sulla vulva per alleviare il dolore, specie prima di rapporti sessuali
- Lubrificanti per ridurre la secchezza vaginale
- Elettrostimolazione (tens)
- Infiltrazioni di tossica botulinica di tipo A per bloccare le terminazioni nervose
- Riabilitazione muscolare del pavimento pelvico
- Tecniche di fisioterapia per controllare la contrazione dei muscoli, e con essa il dolore, e per massaggiare le zone dolenti al fine di desensibilizzarle
- Uso di farmaci, comunemente chiamati “antidepressivi” e/o “anticonvulsanti” per contrastare il dolore cronico e la reattività delle terminazioni nervose. Proprio per l’obiettivo che persegue l’assunzione di questa tipologia di farmaci, sarebbe più corretto parlare di “neuromodulatori”, prescritti in dosi minime. Chiamarli “antidepressivi” contribuisce a fare credere ERRONEAMENTE che si tratti totalmente o in parte di un disagio psicologico. La causa, come già detto, non ha sede “nella psiche” bensì nel “corpo”.
- Percorso di supporto psicologico – Psicoterapia individuale e/o di coppia
- Chirurgia
Ho chiesto ad Arianna: “Cosa possiamo dire a coloro che stanno ascoltando o che ascolteranno questa diretta?”
“Se penso alla ragazza impaurita e spaventata di anni fa, una delle cose principali era la solitudine perché non trovi persone accanto a te con cui riconoscerti o con cui poterti confrontare. Una cosa fondamentale: non sei solo, sola, non si è soli!!!”.
“Non è normale avere questi sintomi, arrivare a non dormire la notte, sentire la propria pelle che va in fiamme, avere continuamente pesantezza vescicale”.
Arianna suggerisce di seguire i canali di divulgazione sul tema “vulvodinia” all’interno dei quali si trovano liste di medici riconosciuti che possono diagnosticare e trattare la vulvodinia e le problematiche del pavimento pelvico, le varie neuropatie. A Padova, la clinica di riferimento è il “Poliambilatorio Elysium”, centro medico veneto vulvodinia.
Rivolgendosi agli ascoltatori, ha detto: “se ti riconosci nelle cose che ho detto, qualche sintomo, anche uno solo, cerca su questi canali o cerca parole come vulvodinia, vestibolodinia, problematiche del pavimento pelvico online perchè adesso iniziano a venire fuori anche grazie alla divulgazione ed è anche più facile arrivare ai medici che possono fare diagnosi”.
Arianna, inoltre, invita a “diffidare da chi sminuisce un problema e il dolore, in qualsiasi campo. Purtroppo spesso si parte sempre da qualcosa che non è competenza dei medici: ansia, tensione, stress.. “. Uno schema e una narrazione troppo ricorrente che nella maggior parte dei casi è sbagliata e fuorviante.
Vi invito caldamente a seguire Arianna, che ha fatto del suo percorso un’occasione per promuovere attivamente l’informazione su questo tema. Profilo Instagram e Tik Tok: ohmiseriaccia
Ultime notizie sul fronte politico
Nel corso della diretta abbiamo citato l’immenso lavoro che il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo sta facendo.
Infatti, il 3 maggio 2022 si è tenuta una conferenza durante la quale è stata presentata alla Camera e depositata in entrambi i rami del Parlamento, una proposta di legge che prevede il riconoscimento della vulvodinia e neuropatia del pudendo nei Livelli Essenziali di Assistenza del Sistema Sanitario Nazionale. Il testo è stato scritto dal Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo formato da pazienti e personale sanitario, di cui Arianna fa parte. Il Comitato si sta muovendo anche per strutturate dei PDTA – percorsi diagnostici terapeutici assistenziali – al fine di garantire percorsi diagnostici e di cura specifici, mirati, efficaci. L’obiettivo è costruire dei protocolli da utilizzare anche nel pubblico, formare il personale medico sanitario per acquisire le competenze necessarie in quello che è il loro ambito di lavoro e promuovere campagne di sensibilizzazione e prevenzione





